Authors

Joseph Francese

Abstract

Quanto segue è una disamina di una selezione del carteggio fra il prigioniero Antonio Gramsci (1891-1937) e sua cognata Tatiana Schucht, il pressoché esclusivo contatto fra Gramsci e il mondo esterno dopo la sua condanna. Le lettere sottoposte ad analisi furono scambiate in un lasso di tempo, durato sei mesi, che inizia con il trasferimento di Gramsci dal carcere di San Vittore di Milano al carcere romano di Regina Coeli nei primi giorni del maggio 1928, e termina con la prima visita di Tatiana al carcere di Turi di Bari nel dicembre del medesimo anno. Nel presente scritto metto in rilievo la condizione psicologica di Tatiana in quell period e propongo un modesto contributo alla conoscenza dell’effetto della personalità di Tatiana (e dell’idiosincratico rapport fra lei e la sua famiglia in Russia sul dramma umano di Gramsci in carcere. L’esigenza vissuta da Tatiana, quella di sentirsi parte di una famiglia (non la propria, beninteso, ma quella di Gramsci, indicata dall’utilizzo dell’appellativo di “Nino” nelle sue lettere — a Ghilarza, a Piero Sraffa nonché a Gramsci stesso — da cui il titolo del presente scritto), e il suo insistere sul fatto di non aver bisogno di affetto, cioè la sua tendenza ad ‘annullarsi’ (rappresentandola come altruismo), fa sorgere sì che lei si comporti ‘da protagonista’. Tatiana assume compiti su di sé, a volte senza avvisare Gramsci, a volte senza il suo consenso. In questo modo, fa a volte perdere la pazienza a Gramsci, il quale deve, poi, vedersi con le autorità con le autorità carcerarie. Gli scambi epistolari fra i due mettono in risalto il modo in cui questa pretesa di Tatiana di fare le veci di Gramsci, di stabilirsi come tramite ineludibile, forza e modifica il loro rapporto in un momento critico — i primi anni — del calvario carcerario di Gramsci.

Abstract Format

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